Ciascuna delle parti sottoscrittrici può recedere unilateralmente da un contratto a tempo indeterminato comunicando il previsto periodo di preavviso all’altra.
La formulazione dell’articolo 1750 del Codice civile prevede, dunque, l’obbligatorietà della formale comunicazione dei termini in assenza della quale si verrebbe a determinate l’istituto del “lucro cessante” che gli Accordi Economici ridefiniscono, attraverso una quantificazione oggettiva del mancato guadagno, nella c.d. “Indennità Sostitutiva del Preavviso”.
L’articolo 1750 stabilisce che il preavviso non può essere inferiore ad un mese per il primo anno di contratto iniziato e così fino al sesto mese (sesto anno di contratto iniziato) aggiungendo, tuttavia, che le parti possono concordare comunque termini di maggior durata.
Il profilo che emerge dalla lettura dell’articolo è quello della “pariteticità” tra le parti in sede di termine del contratto.
L’istituto del preavviso è trattato, ovviamente, anche dalla contrattazione collettiva che introduce una più articolata formulazione dei termini principalmente per due motivi.
Il primo, più specifico, si ricollega alla distinzione proposta dagli AEC tra agente e rappresentante plurimandatario o monomandatario (quindi: con obbligo di esclusiva per una sola ditta).
Il secondo, più generale, è determinato dal principio fondante degli AEC: quello del “maggior vantaggio a favore dell’agente”.
Analizzando la durata prevista dagli AEC del preavviso se ne ricava che:
- Nel caso di recesso comunicato dall’azienda all’agente (sia esso mono o plurimandatario) il periodo di preavviso coincide o è superiore a quanto stabilito dal Codice civile;
- Nel caso di recesso comunicato dall’agente è possibile che il periodo di preavviso possa essere inferiore a quanto previsto dal Codice civile.
L’articolo 1750 non manifesta esplicitamente possibilità di deroga a quanto stabilito (diversamente, ad esempio, dall’articolo 1748) ma, del resto, nemmeno l’articolo 1743 pure ormai, con prassi consolidata, normalmente soggetto a deroga.
Anche il principio del “maggior vantaggio” trova, ad esempio, ormai piena applicazione nei criteri di quantificazione della c.d. Indennità di fine rapporto nel confronto tra quanto previsto dall’articolo 1751 e gli Accordi Economici (nel caso dei maggiormente diffusi AEC: art.10 – Industria e 13 – Commercio).
Il principio del “maggior vantaggio” pare, pertanto, rendere pacificamente plausibile all’agente la scelta e quindi la decisione su quale norma utilizzare ai fini del calcolo anche nel caso in cui il periodo sia inferiore a quanto previsto dal Codice civile se, ovviamente, al contratto sono applicabili gli Accordi di riferimento.
Diversamente verrebbero meno ruolo e principi della contrattazione collettiva che, specialmente in un contesto come il nostro, rappresenta un valore aggiunto alla definizione di regole eque tra le parti.
Per maggiori approfondimenti potete rivolgervi, come sempre, alle sedi territoriali della Fiarc.
(A cura di Sauro Spignoli)